Linguaggio Inclusivo in azienda

 di Lisa Segarini, Consultant di Red Public

Le parole, e le regole utilizzate per modificarle e combinarle, sono parte del linguaggio, la forma di comunicazione che definisce e influenza le relazioni di individui e organizzazioni. 

Come scrive Vera Gheno in Le ragioni del dubbio – l’arte di usare le parole

“Le parole non sono mai solo parole, si portano dietro visioni differenti della realtà, aspirazioni e certezze, possono generare conflitti e possono generare empatia.” 

Una buona capacità di esprimersi è fondamentale in tutti gli ambiti, soprattutto nel mondo lavorativo, dove è necessario comunicare efficacemente con colleghi e colleghe, dipendenti e superiori e saper proporre altrettanto efficacemente le proprie idee, prodotti o servizi. 

Allo stesso modo, la scelta del linguaggio utilizzato sta assumendo sempre più importanza in quanto veicolo e variabile chiave nella creazione di luoghi di lavoro equi ed inclusivi. È proprio a partire da questa consapevolezza che nasce il linguaggio inclusivo, un linguaggio che tiene in considerazione la molteplicità e diversità della platea a cui ci possiamo riferire, interiorizzando nella costruzione del linguaggio stesso un’attenzione verso forme di diversabilità, vulnerabilità e condizioni di difficoltà. Il linguaggio inclusivo punta ad aiutare aziende ed individui a superare quelle modalità obsolete di rappresentazione che veicolano immagini stigmatizzanti e distorte

Che si tratti di una breve affermazione dichiarativa contenuta in una mail o di un’argomentazione complessa all’interno di un report o di un’esposizione, il linguaggio utilizzato ha la potenzialità di influenzare la percezione dell’azienda da parte di chi ascolta o legge. 

L’opposto del linguaggio inclusivo è il linguaggio esclusivo, un linguaggio che può infatti, in maniera anche inconsapevole, danneggiare o non far sentire rappresentati molti gruppi e individui all’interno dell’organizzazione. Un esempio pertinente può essere quello del maschile sovra esteso, comune nel mondo del lavoro, che simboleggia e ricalca una realtà lavorativa pensata e costruita dal “dominio” maschile. In un annuncio di lavoro, ad esempio, rivolgersi alla platea in cerca di “un candidato per la posizione di addetto alla contabilità” si traduce in un’offerta di lavoro destinata agli uomini, ed è difficile pensare che una donna possa sentirsi invitata ad inviare la propria candidatura. L’annuncio per essere inclusivo dovrebbe invece ricorrere a formulazioni che comprendano entrambi i generi, come: “un/a candidato/a per la posizione di addetto/a alla contabilità”

Allo stesso modo utilizzare aggettivi comunemente orientati al genere maschile – come ad esempio dominante, indipendente, superiore – può ridurre sensibilmente il numero di professioniste che si candidano per una posizione. L’annuncio dovrebbe quindi prediligere parole quali impegno, cooperazione, fiducia, responsabilità. 

Un altro esempio riguarda le qualifiche richieste in un annuncio di lavoro. Uno studio della Hewlett-Packard ha dimostrato che gli uomini rispondo ad un annuncio avendo in media il 60% dei requisiti, le donne solo se possiedono il 100% delle qualifiche richieste. Le aziende quindi dovrebbero evitare di inserire un elenco infinito di qualifiche come requisiti di candidati/e, evidenziando invece solo le qualifiche più rilevanti. Inoltre le competenze possono essere inserite attenuando il messaggio con vocaboli quali “familiarità con”, “punti bonus per”. 

Tuttavia, il linguaggio inclusivo non riguarda solo la dimensione di genere, può infatti riguardare anche l’età di professionisti e professioniste. L’utilizzo di frasi come «nativo digitale» negli annunci di lavoro, ad esempio, può far sì che i lavoratori e le lavoratrici delle generazioni più anziane si sentano esclusi/e. Il rischio poi, è che l’azienda componga team con una gamma ristretta di esperienze e prospettive e, nel processo, limiti la sua capacità di innovare. 

In alcuni settori, l’utilizzo di termini specialistici o tecnici può rendere la scrittura più sintetica, ma allo stesso tempo escludere le persone che non conoscono il significato dei termini. Se è necessario utilizzare questi termini, è importante definirli prima e rendere le definizioni facili da consultare. 

L’utilizzo del linguaggio inclusivo è fondamentale anche nei processi di performance review, dove tutto il personale ha diritto a ricevere valutazioni eque e prive di pregiudizi. Durante la valutazione di un/a dipendente è importante utilizzare un linguaggio oggettivo e non attinente alla personalità, preferendo ad esempio la parola approccio invece di attitudine

Nell’ambito della tecnologia uno dei modi per promuovere una cultura più diversificata, equa e inclusiva è quello di sostituire il linguaggio non inclusivo nei codici e nella documentazione abbandonando ad esempio l’uso di termini quali blacklist/whitelist e sostituendoli con i più inclusivi allowlist/denylist

In ottica di sostenibilità sociale, quindi, le aziende devono impegnarsi nell’evitare l’utilizzo di un linguaggio discriminatorio che promuove stereotipi e rafforza bias congitivi e devono favorire invece un linguaggio sensibile, ossia capace di rendere manifesta, attraverso il linguaggio, l’uguaglianza, considerando gli individui di pari valore, integrità e rispetto. 

Un percorso verso il linguaggio inclusivo inizia dalla definizione delle dimensioni di inclusione rilevanti, come diversità culturali, inclusione della comunità LGBTQ+ e inclusione generazionale. Il personale deve essere poi formato in modo tale che possa acquisire conoscenza tale da organizzare e implementare processi e azioni che valorizzino il linguaggio inclusivo come parte della routine di ogni dipendente. Per l’efficacia delle azioni è fondamentale definire KPI puntuali e utili per conoscere e misurare l’impatto delle soluzioni in ottica di continuous improvement riconoscendo nel linguaggio inclusivo una funzione fondamentale per preparare il terreno ad una cultura organizzativa che insiste sull’uguaglianza

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