Parità Retributiva tra Uomini e Donne: un obiettivo ancora lontano

di Sara Lombardelli, Analyst in Red Public

Negli ultimi anni, la parità retributiva tra uomini e donne è diventata un tema centrale nel dibattito sulle disuguaglianze di genere. Nonostante l'Unione Europea promuova il principio della parità salariale fin dal Trattato di Roma del 1957, il divario retributivo di genere persiste in tutti gli Stati membri: questo fenomeno riflette non solo una disparità economica, ma è anche un sintomo di profonde disuguaglianze sociali, culturali e strutturali che penalizzano le donne nel mondo del lavoro.

Il contesto e le problematiche

Le cause principali del divario retributivo includono gli ‘stereotipi di genere’, che limitano le opportunità delle donne e le associano a ruoli tradizionalmente meno valorizzati economicamente; la segregazione lavorativa, sia orizzontale (presenza femminile concentrata in settori meno remunerativi) che verticale (barriere all'accesso a posizioni apicali, il "soffitto di cristallo"); le responsabilità familiari non equamente distribuite, che influenzano la partecipazione e la crescita professionale delle donne; e la sottovalutazione dei lavori femminilizzati, come quelli nel settore della cura, spesso sottopagati nonostante l’elevato valore sociale.
Strumenti esistenti come la mancanza di trasparenza retributiva, la difficoltà nel definire il "lavoro di pari valore" e gli ostacoli procedurali per i lavoratori discriminati hanno mostrato i propri limiti, spingendo l'Unione Europea a intervenire con la Direttiva 2023/970.

Direttiva 2023/970: le principali novità

La Direttiva Europea 2023/970, adottata il 10 maggio 2023, introduce misure vincolanti per garantire trasparenza retributiva e rafforzare i diritti dei lavoratori. Queste misure si concentrano su diversi aspetti chiave: la trasparenza retributiva, che impone ai datori di lavoro di fornire informazioni sui criteri di determinazione delle retribuzioni sia durante la fase precontrattuale che durante il rapporto di lavoro, e la redazione di rapporti annuali per le aziende con oltre 100 dipendenti, con dettagli sul divario retributivo di genere e sulle progressioni salariali. La direttiva estende la definizione di retribuzione, includendo non solo il salario base ma anche bonus, benefit e compensazioni, per evitare disuguaglianze nei criteri di attribuzione. Inoltre, facilita l'accesso alla giustizia spostando l'onere della prova sul datore di lavoro in caso di presunta discriminazione e permettendo l'utilizzo di dati statistici o riferimenti ai contratti collettivi per dimostrare disparità retributive. Prevede anche sanzioni e incentivi, come ammende e l'esclusione da appalti pubblici per aziende non conformi, e incentivi economici per le imprese virtuose, come esoneri contributivi. Infine, promuove il coinvolgimento delle parti sociali per incentivare la contrattazione collettiva e rimuovere stereotipi di genere nei luoghi di lavoro.

Il ‘Rapporto biennale’ e gli ‘obblighi aziendali’

Il Rapporto biennale sulla situazione del personale, introdotto dal D.Lgs. 198/2006 (Codice delle Pari Opportunità) e successivamente modificato dalla Legge 162/2021 (Legge sulla parità salariale), è obbligatorio per i datori di lavoro con più di 50 dipendenti. Inizialmente previsto per aziende con oltre 100 dipendenti, l'obbligo è stato esteso nel 2021 a quelle con almeno 50 dipendenti, con l’obiettivo di monitorare e analizzare il gender gap nelle imprese. Questo rapporto rappresenta un primo passo cruciale per rilevare le eventuali disuguaglianze salariali tra uomini e donne, raccogliendo dati su retribuzioni e progressioni di carriera, suddivisi per categoria legale (dirigente, quadro, impiegato, operaio) e per genere. Le informazioni raccolte servono a garantire trasparenza e a promuovere politiche aziendali più eque. Il rapporto deve essere compilato e inviato ogni due anni utilizzando un apposito portale ministeriale. In caso di invio tardivo o mendace, sono previste sanzioni amministrative significative, che possono variare da 515 a 2.580 euro per l'inottemperanza, fino alla sospensione dei benefici contributivi in caso di ritardo prolungato. Questo strumento non solo aiuta a monitorare il rispetto delle normative in materia di pari opportunità, ma rappresenta anche un'opportunità per le aziende di correggere eventuali disparità esistenti prima che diventino problematiche legali.

Certificazione della Parità di Genere (UNI/PdR 125:2022)

La Certificazione della Parità di Genere attesta l’impegno dei datori di lavoro nell’adottare politiche concrete per l’equità di genere. Basata su indicatori (KPI) relativi a equità retributiva, opportunità di crescita e conciliazione vita-lavoro, offre vantaggi come l’esonero dai contributi previdenziali e punteggi premiali per appalti pubblici. Il processo di certificazione coinvolge verifiche e l’attribuzione di un punteggio minimo del 60% in sei macroaree*, con monitoraggi periodici da parte degli organismi di certificazione accreditati.

* Le sei macroaree della Certificazione della Parità di Genere sono:
1) Cultura e strategia: promuovere una cultura aziendale inclusiva e strategie che supportino la parità di genere.

2) Governance: implementare pratiche di governance che garantiscano la rappresentanza e l'equità di genere.

3) Processi di gestione delle risorse umane (HR): assicurare che i processi HR siano equi e inclusivi.

4) Opportunità di crescita e inclusione delle donne in azienda: favorire la crescita professionale e l'inclusione delle donne.

5) Equità remunerativa per genere: garantire che le retribuzioni siano eque e non discriminatorie.

6) Tutela della genitorialità e conciliazione vita-lavoro: supportare la genitorialità e facilitare l'equilibrio tra vita lavorativa e privata.

 

Gli effetti e il monitoraggio

L’implementazione della direttiva è prevista entro il 7 giugno 2026, con effetti mirati a ridurre il divario salariale di genere tramite valutazioni neutre del valore del lavoro, favorire un ambiente lavorativo equo e inclusivo, e monitorare i progressi grazie a rapporti biennali degli Stati membri alla Commissione UE.

Con questi strumenti, l'UE punta a costruire un mercato del lavoro che rifletta principi di giustizia, inclusione e parità, affrontando le disuguaglianze radicate a livello sociale e culturale.



Fonte: Ministero del Lavoro e Politiche Sociali

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